Abstract:
Nel Veneto medievale, immerso nella civiltà romanza del tempo, animato dalla presenza di raffinate corti signorili e da vivaci centri urbani, sospeso tra nostalgie feudali e l'intraprendenza dell'aristocrazia mercantile in ascesa, quasi per intero dimensionato all'interno dei codici culturali elaborati oltralpe, viene elaborandosi progressivamente un'ideologia libraria cortese, che sollecitata dall'importazione e dalla circolazione di modelli grafico-librari francesi, regola la produzione di lussuosi e costosi codici di lirica occitanica e di epica oitanica, destinati a committenti di larghe disponibilità finanziarie, appartenenti ancora al mondo delle corti o a quell'emergente borghesia urbana che nel libro vedeva un simbolo di prestigio oltreché un investimento economico. Contemporaneamente, strutture prasseologico-concettuali d'ascendenza giuridico-scolastica, contribuiscono alla plasmazione e alla progressiva definizione d'una tipologia libraria funzionale alla legittimazione e alla conservazione delle nuove testualità volgari, promuovendo dietro la spinta dei concetti scolastici di ordinatio e compilatio, un assestamento all'interno della stessa forma-libro, non solo sul modello universitario (latino), ma anche cortese (volgare), entrambi innestati spesso sulle medesime categorie professionali e afferenti alle stesse filiere di produzione. È in questo contesto che s'inserisce l'ideazione e la concreta fattura del codice Saibante-Hamilton 390, oggetto di questo studio, che nell'originalità della mise en page, nell'informalità di scrittura, nella ricchezza e nella novità complessiva dell'apparato decorativo, ben si candida a rappresentare un tipo di libro diverso da quelli correnti all'epoca, collocandosi all'incrocio fra spinte modellizzanti in direzione cortese e istanze normalizzatrici di tonalità scolastica. L'indagine delle modalità di concreta fattura del codice ha permesso di stabilire come questo si componga di più compagini fascicolari alle quali corrispondono con perfetta calettatura le varie unità testuali che fondano la silloge saibantiana (i Disticha Catonis, una sezione di exempla, il Libro di Uguccione da Lodi, lo Splanamento di Gerardo Pateg, i Proverbia quae dicuntur super natura foeminarum, il Pamphilus de amore). Una tecnica che arieggia strategie compositive seriali (e che fa pensare ad una sorta di pecia,
seppur embrionale): il libro cioè si «forma» letteralemente col montaggio in sequenza di libelli, quasi dei booklets, ciascuno contenente un'unità testuale, secondo una strategia compositiva modulare funzionale alla realizzazione di prodotti suscettibili fino all'ultimo di sommovimenti radicali nella scelta e nell'ordinamento dei testi, e pertanto maggiormente rispondenti ai desideri dei committenti. Una modalità che conosce il proprio limite nell'entropia sottesa al montaggio di unità distinte, tessere musive che si sforzano di comporre, ma solo a posteriori, un disegno complessivo. Il Saibante, e qui sta la sua novità, sfugge a questa logica, ed esprime invece una salda volontà di libro, un'accurata intentio progettuale, un piano editoriale che ne bilancia le componenti, riconducendole tutte all'interno d'una logica unitaria: al fondo c'è un'idea di libro che presuppone e genera le varie parti, come l'indagine condotta si è sforzata di dimostrare. Inoltre, proprio l'osmosi che pare instaurarsi tra la pagina script a e la pagina pietà, tra Text e Bild, congiuntamente alla concezione unitaria dell'intero apparato illustrativo (pur nella sintassi decorativa peculiare ad ogni compagine testualee quindi fascicolare), mostra come tutti i tasselli modulari che compongono il codice, siano stati confezionati in vista d'un unitario progetto di libro. Ma è soprattutto l'omogeneità di fondo dei vari testi che permette di affermare come il Saibante riveli una coscienza compositiva salda, un'idea forte, dietro la scelta e la seriazione testuale, la volontà di fondere insieme la tradizione precettisticoparenetica latina con la produzione didattico-moraleggiante volgare. Il codice infatti mescola disinvoltamente materiali latini con testi volgari, una mescidanza che rimanda ad un ambiente di cultura retorica e scolastica, che appunto nei Disticha Catonis, coi quali si apre la seriazione testuale proposta dal Saibante, aveva uno dei suoi testi fondativi. Del resto proprio una micro-sezione del canone scolastico è quella che si legge dietro la iunctura Disticha-Pamphilus, i due testi che, accompagnati dai volgarizzamenti, rispettivamente aprono e chiudono il codice, e che soprattutto troviamo riflessi in una programmatica citazione in una quartina dei Proverbia dove appunto è dichiarato ad evidenza come la rassegna misogina proposta si fonda sugli esempi di Catone, di Ovidio, di Panfilo e di Tullio Cicerone. Dunque sul piano complessivo del codice si proietta una sezione del canone sotteso ai Proverbia, che si candidano ad epicentro dell'intero piano editoriale (e del resto, con una vignetta per ogni quartina sono di gran lunga il testo con l'apparato illustrativo più lussuoso). Inoltre, se i Disticha Catonis sono l'incunabolo sotterraneo di tutta la produzione moraleggiante, e la loro presenza nel canone di auctoritates dietro ai Proverbia ha valore esemplare, un nodo più stretto sembra legare il poemetto misogino al Pamphilus che, pur sfumando l'antifemminismo esplicito nelle altre commedie elegiache, tuttavia nei consigli di Venere e nella figura della vecchia mezzana, si riconnette ai Proverbia per l'insistenza sulla categoria dell'ingenium. Laddove i Proverbia mettevano in guardia l'incauto innamorato contro l'«ençegno» delle donne, il Pamphilus che efficacemente esemplifica l'intera topica dell'innamoramento, oltre a costituire una sorta di macro-exemplum agli insegnamenti del poemetto, fa delle donne (benché a farne le spese sia un'ingenua Galatea) le vittime di quello stesso ingenium che, rovesciando il codice erotico cortese, diviene la virtù fondamentale affinchè l'innamorato possa conquistare l'amata, sostituendo alla distanza e alla lode la logica del possesso e dell'inganno. Al di là di questo nodo che stringe i Proverbia (volgari) al Pamphilus (latino, ma del quale è qui procurato un incauto volgarizzamento), la-posizione primaziale dei Disticha è confermata dalla menzione che ne fa anche Girardo Pateg nel suo Splanamento, che pur nell'aderenza al testo dei proverbi pseudo-salomonici con ampie concessioni anche all'Ecclesiaste, pur presuppone e ben si accorda alla precettistica catoniana, anzi -si avanza qui a titolo d'ipotesialcuni dei distici del Pateg potrebbero aver fornito al volgarizzatore dei Disticha (più capace di quello del Pamphilus) materiali lessicali e tasselli sintagmatici, laddove dietro una sententia catoniana abbia riconosciuto la fonte d'un corrispondente passo del Pateg. Più sparsamente, sententiae dei Disticha si rintracciano disseminate anche nella sezione degli exempla dove forniscono il presupposto teorico per la risoluzione morale degli apologhi. Su questo compatto tessuto di rimandi e corrispondenze, s'inserisce il Libro di Uguccione (sotto la cui etichetta convivono in realtà due poemetti distinti, l'uno in lasse di alessandrini, l'altro in distici di decasyllabes), che pur nell'intento edificante e nelle suggestioni escatologico-apocalittiche, è forse il testo meno organico al "sistema" editoriale del codice, non rivelando significativi riscontri con le altre unità testuali. Ma nel complesso il Saibante si è rivelato codice pensato e costruito coscientemente, autorevole bacino di raccolta della produzione didattico-moraleggiante dell'areale lombardo-veneto, mosso da una precisa volontà progettuale. Una nota di possesso riconduce il Saibante alVarmarium di una biblioteca fratesca (o tutt'al più ai banchi d'una confraternita), e figurine assimilabili ai frati minori sono ritratte a tutte le latitudini del codice. La commistione di latino e volgare rimanderebbe ad ambienti connessi con l'attività degli studia. È allora probabile che il Saibante rifletta l'interesse dei nuovi ordini mendicanti, e segnatamente di quello francescano, impegnato sul terreno della giulleria sacra, per le innovative proposte culturali che provenivano dall'area del volgare, cioè per quella letteratura d'impianto parenetico e sapienziale proveniente da opere quali l'Esopo o i Disticha Catonis, familiari anche a quei laici superficialmente litterati, e funzionali ad un gusto didascalico conforme alle esigenze (pur minime) di divulgazione culturale insite nei presupposti pedagogici della predicazione. Saldamente organato intorno ad una volontà progettuale che lega i testi fra loro, riconoscendone la trama di rispettive implicazioni, il Saibante ben s'inserisce allora (con carateeri di sorprendente novità) nella produzione libraria del Veneto tardo-duecentesco (che darà altra prova di sé nell'antigrafo di quel VI3, codice di tenore giullaresco che fissa nelle varianti «basse» quell'immenso epos popolare conosciuto come Geste Francor), proponendosi allora come epicentro manoscritto della produzione didattico-morale dell'area padano-veneta, quale esempio altissimo della mediazione di forme giullaresche e di poesia colta che connosta l'esperienza italiana settentrionale delle origini.
During the Middle Ages the Veneto area was deeply involved in the romance civilization of the time. Strong was the influence of the cultural codes imported from France in books and codicological models. Prestigous courts still promoting late feudalism and urban community filled with a new merchant aristocracy dotted the land. From France came cultural and literary codes together with books and codicological patterns, which inspired and modeled those luxurious and expensive production of manuscripts containing occitan lyrics and oitan epic poetry, transcribed in Italy for the rich and wealthy clients, still involved in the courtly world or belonging to the rising urban classes. The book was still regarded as a symbol of prestige and as a profitable economic investment. It is in this context that takes place the making of the manuscript Saibante-Hamilton 390, the subject of this study, which for the originality of its mise en page and of its graophic and paleographical peculiarities, together with informal style and its numeous illuminations represents a kind of book totally different from the other manuscripts circulating at the time. The Saibante is a sort of crossroad where courtly patterns and scholastic schemes intermingle and define the status of the book.
An enquiry on the making of the manuscript allowed us to determine as the Saibante is made by many bpoklets, each one containing one single work. Assembling booklets was a technique that recalls serial productions and that is intriguingly simiilar to the pecia, even if at an embryonal stage: literally the book is made by the junction of mani libelli or booklets, each one containing one single work. That would be a way of composition particularly functional when altering the sequencce of pieces in the anthology in order to make it respondent to the wishes of the client: the sequence of the texts in the book could be modified with no dramatic consequences for the book as a whole. Usually, manuscripts which assemble booklets together are characterized by a sort of inner entrophy: the novelty of the Saibante lies in the strong effort the manuscript makes in order to become a book with a clear anthological program.