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Questa tesi tratta una serie di opere di Nathaniel Hawthorne e Henry James come documenti che
contribuiscono alla formazione della sfera della "cultura alta" nell'America del secondo Ottocento, sia
nel campo letterario sia in quello delle arti figurative. Da un lato la questione dell'apprezzamento
artistico viene affrontata da un punto di vista storico e sociologico, come fenomeno che acquista rilievo
culturale nella seconda metà del secolo. Dall'altro lato, attraverso un approccio semiotico e retorico, le
allusioni alle arti visive nei romanzi e in altri scritti di Hawthorne e James vengono lette come
strumenti che sollevano il problema dell'autonomia della sfera estetica, e al tempo stesso riformulano
in relazione al genere romanzo il ruolo e la funzione interpretativa del pubblico.
L'espansione del turismo transatlantico a partire dal 1860, la fondazione dei musei d'arte negli
anni Settanta, la grande diffusione del collezionismo dopo la Guerra Civile, stimolano una varietà di
scritti centrati sull'importanza di coltivare il gusto collettivo e individuale nel campo delle arti visive.
Guide di viaggio, documenti riguardanti la fondazione e la gestione dei musei, libri d'arte e articoli
giornalistici promuovono il contatto con l'arte come esperienza volta ad elevare insieme lo spirito, la
mente e la condotta. Caricate di significati religiosi (secondo il frequente binomio museo=chiesa), le
arti visive vengono proposte come oggetti da contemplare, ma anche come materia di studio e
interpretazione, che richiede da parte del pubblico serietà, rispetto, e "buona volontà culturale".
Questa tesi sostiene che le opere di Hawthorne e James riflettono lo stesso innalzamento delle
gerarchie di gusto che caratterizza il campo delle arti visive. Se Hawthorne dichiara che la sua
produzione specialmente l'ultimo romanzo si rivolge idealmente ad un pubblico ristretto, al "lettore
gentile" di The Marble Faun si chiede implicitamente di trarre piacere dall'abbondante critica d'arte
che pervade il romanzo. L'interesse che Hawthorne dimostra per pittura e scultura come insieme di
segni problematicamente aperti alla libera interpretazione, corrisponde alla cospicua oscurità in cui
l'autore avvolge i dilemmi morali e i fatti centrali di The Marble Faun: un'oscurità che esige, tanto
quanto i riferimenti all'arte del Vecchio Mondo, un pubblico di lettori motivati e attenti.
Per l'espatriato James, il contatto con le arti visive diventa una questione di godimento serio, di
piacevole dedizione. Da una parte, James abbandona l'approccio prescrittivo che aveva accompagnato
Hawthorne nella sua scoperta dei capolavori dell'arte italiana, dall'altra conserva ed enfatizza l'idea
della produzione e dell'apprezzamento dell'arte come compito consapevole, profondo impegno morale
e intellettuale. James propone la prima teorizzazione programmatica del romanzo come forma artistica
seria e libera, adatta a menti mature e intelligenti. Ma mentre libera il romanzo da obblighi e fini
morali, allo stesso tempo James incorpora le preoccupazioni etiche nella dimensione estetica. La sua
insistenza sull'importanza della resa stilistica nella scrittura creativa si associa al proliferare, nelle sue
opere, di ambiguità e discriminazioni morali che sempre più si rivolgono ad un pubblico di lettoriinterpreti.
Specialmente negli ultimi romanzi, i riferimenti alle arti visive diventano tutt'uno con un
gioco di allusioni colte in cui i significati vengono continuamente differiti, ai quali si può solo
accennare indirettamente. Testimoni del prestigio culturale conferito all'arte, queste allusioni artistiche
sembrano dunque riflettere la stessa autonomizzazione della "disposizione estetica" che sta alla base
del museo d'arte come tipico fenomeno della cultura occidentale.
This thesis explores a number of novels and non-fictional works by Nathaniel Hawthorne and
Henry James as documents that contribute to shape the sphere of "high culture" in 19th century
America, both in the field of the visual arts and in that of literature. On the one hand I confront the
issue of art appreciation in a historical and sociological perspective, as a phenomenon that grew into
cultural relevance since the second half of the 19th- century. On the other hand, following a semiotic
and rhetoric approach, I examine the role of visual art in turning the novels by Hawthorne and James
into works that increasingly select their own audience, and at the same time raise the problematic
question of aesthetic autonomy.
The expansion of transatlantic tourism since the 1860s, the foundation of art museums in the
1870s, and the boom of private art collecting following the Civil War gave rise to a set of discursive
patterns that articulated the importance of training the collective and the individual taste in the field of
visual art. Travel guides, documents concerning the foundation and the management of museums, art
books and journal articles, promoted experience of art as an activity that served to elevate spirit, mind,
and manners alike. Endowed with religious connotations (according to the frequent equation
museum=church), the visual arts were both propounded as objects of contemplation and as matters of
study and interpretation, requiring from the public purpose, respect, and "cultural good will."
One of my contentions is that the works by Hawthorne and James examined here reflect the
same rise of taste standards that was taking place in the field of the visual arts. While Hawthorne
privately declared that his fiction (especially his last novel) ideally addressed a restricted audience, the
"gentle reader" of The Marble Faun was implicitly expected to take pleasure in the abundant art
criticism that he disseminated through this work. Hawthorne's interest in painting and sculpture as
signs not only open to study, but also to free interpretation, matched the considerable opacity with
which he treated the moral tangles and the central events of his novel, which demanded a public of
motivated and discriminating readers.
For expatriate and internationally educated James, experience of visual art becomes a question
of serious enjoyment, of pleasurable dedication. While he abandons the prescriptive, dutiful approach
that had characterized Hawthorne in his discovery of the Italian art shrines, he retains and emphasizes
the notion of production and appreciation of art as self-conscious labor, deep moral and intellectual
engagement. James confronts us with the first programmatic theorization of the novel as a serious and
free artistic form, suited for mature and intelligent minds. But while he liberates the novel from moral
prescriptions and purposes, he simultaneously inscribes the ethical preoccupations into an aesthetic
dimension. His insistence on the importance of execution and treatment in the writing of fiction
parallels the increase of subtly moral discriminations and ambiguities in his novels, which demand
from readers a constant exertion of their interpretive skills. Especially in his last works, the references
to the visual arts participate in a cultivated game in which meanings are constantly deferred, and can
only be alluded to. Bearing witness to the cultural prestige conferred on art, such artistic allusions
appear to reflect the same autonomization of the "aesthetic disposition" that underlies the art museum
as typical phenomenon of Western culture. |
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