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Introduzione
Lo scopo di un’indagine paleo-antropologica, come di ogni altra ricerca di tipo archeologico è quello di ricostruire attraverso una corretta lettura dei resti scheletrici umani rinvenuti in contesti di scavo, lo stile e le condizioni di vita degli uomini e delle comunità del passato, come della possibile causa di morte, ipotizzando il modello di vita che conducevano in relazione ai rapporti di adattamento con l’ambiente circostante, alle vicende storiche all’interno delle quali si inserivano e non ultimo, ai reperti della cultura materiale che hanno prodotto.
Obiettivo di questo studio sulle deposizioni di età basso medievale dall’Ospitale di san Bartolomeo di Spilamberto a Modena, documentate in corso di scavo con le ricerche di archeologia preventiva realizzate nel 2008 dalla Soprintendenza Archeologia di Bologna, è quello di presentare una trattazione puntuale antropologica e demografica d’insieme, sulla base dei dati raccolti, attraverso l’applicazione di protocolli metodologici comuni, messi a confronto con altri contesti medievali noti, come l’abbazia di Nonantola o l’antica chiesa di san Bartolomeo a Formigine.
Il contributo dell’archeologia dei resti umani sullo studio dei comportamenti funerari, quanto quello di analisi in laboratorio, è di fondamentale importanza per permettere di ricostruire da una parte, eventuali interventi sul corpo o sullo scheletro, come ad esempio nella posizione fatta assumere al cadavere o ai trattamenti cui può essere stato fatto oggetto partendo dalla scelta del rituale di deposizione e, dall’altra per documentare lo stato di salute di ogni singolo individuo che ne ha preceduto o causato la morte. Per ogni sepoltura sono stati considerati sistematicamente una serie di parametri di ordine cronologico, topografico (organizzazione interna dell’area cimiteriale, localizzazione e orientamento delle singole fosse) o legati alla tipologia tombale (tipo di contenitore o esistenza di eventuali sovrastrutture a protezione al defunto), così come possibili rinterventi successivi la decomposizione del corpo, identificati spesso solo in post-scavo attraverso il conteggio del numero minimo di individui in ogni tomba, legato alla presenza contestuale all’interno della sepoltura primaria singola o bisoma, di sepolture asincrone secondarie o di riduzioni intenzionali e/o casuali. Questi caratteri, successivamente a un primo intervento di pulitura e di restauro, sono stati messi in relazione ai parametri antropologici e biologici ricavati sulla base delle analisi di laboratorio, stabilendo come termini di determinazione primari, quando possibile, in considerazione dello stato di conservazione, sesso e stima all’età alla morte di ogni individuo. Si è quindi proceduto seguendo un ordine di esami di carattere interpretativo all’analisi antropologica del campione, attraverso il rilievo di valori metrici e morfometrici del cranio e dello scheletro post-craniale, contestualmente agli indici staturali, necessari per determinare la costituzione fisica dei singoli soggetti e del campione demografico. Quindi sono stati rilevati i caratteri morfologici e gli indici non metrici, discontinui e ergonomici, registrandone la presenza o l’assenza.
Infine sono stati considerati i segni e le lesioni di eventuali patologie riconducibili a malattie articolari degenerative o di natura fisiologica e infiammatoria o conseguenti a traumi biomeccanici e disfunzioni metaboliche di natura varia, specifiche e aspecifiche osservabili a carico dello scheletro.
Tutte le fasi di analisi sono state condotte presso il Laboratorio di Antropologia e del DNA antico per la Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna, in collaborazione con gli studi di Laboratorio di Antropologia dell’Università di Cà Foscari di Venezia. |
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